XV Domenica del Tempo Ordinario /B

11.07.2021

Am 7, 12-15 Sal 84 Ef 1, 3-14 Mc 6, 7-13


La liturgia di questa domenica, dopo l'insuccesso di Gesù nella sua città e tra i suoi parenti, come sintetizza l'evangelista, «E si meravigliava della loro incredulità» (Mc 6, 6), apre una nuova sezione narrativa con la ripresa della missione in Galilea e l'invio dei suoi apostoli: «Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due» (Mc 6, 7). In effetti, «l'invio dei dodici in missione, di cui narra in Mc 6, 7-12 e in ciò che segue, appare al lettore come una conseguenza del rifiuto in patria. Così almeno lascia intendere il narratore: Gesù non accolto, manda altrove l'annuncio del regno di Dio» [1].

Marco narra l'invio dei discepoli già all'inizio della seconda sezione del Vangelo (Mc 3, 13 - 6, 6), precedentemente al rifiuto di Nazaret - «Ne costituì Dodici - che chiamò apostoli -, perché stessero con lui e per mandarli a predicare» (Mc 3, 14) - e sempre nella regione della Galilea, ma in questa nuova unità (Mc 6, 7 - 8, 26), che ha come scopo di condurre progressivamente i seguaci a scoprire la pienezza dei doni messianici, vengono date a loro delle precise istruzioni. Così essi, dopo essere stati coinvolti nell'attività del Maestro, che consente loro un'esperienza più profonda della sua personalità, vengono investiti di un incarico e rivestiti di una potenza, che li pone a parte della missione stessa di Cristo. L'esperienza, infatti, «ha certo valore prolettico, di "tirocinio" rispetto alla futura missione universale, che sarà loro affidata dal risorto. Il che non toglie la funzione pedagogica di una responsabilità, attraverso la quale essi vivono più profondamente il legame con Gesù» [2].

La prima istruzione che Gesù pone ai suoi missionari è quella di proclamare il Regno di Dio restando in comitiva: «Prese a mandarli a due a due» (Mc 6, 7). Nella Tōrāh, per rendere valida una testimonianza c'era la necessità almeno di due persone: «Un solo testimone non avrà valore contro alcuno, per qualsiasi colpa e per qualsiasi peccato; qualunque peccato uno abbia commesso, il fatto dovrà essere stabilito sulla parola di due o di tre testimoni» (Dt 19, 15). Ma, nell'ottica marciana, «questo numero è anche il simbolo della comunità: i missionari devono operare non da soli, ma in compagnia; questa procedura di Gesù è stata presa alla lettera dai primi cristiani» [3]. Così negli Atti degli Apostoli troviamo sempre una coppia di missionari, come Pietro e Giovanni (At 3, 1; 4, 13); Paolo e Barnaba (At 13, 2); Giuda e Sila (At 15, 22).

La seconda caratteristica della missione apostolica è nel divieto di portare con sé nulla da mangiare o denaro o due tuniche, ma avendo solo un bastone e calzando dei sandali, differentemente dagli altri Sinottici - «Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone» (Mt 10, 9-10; cfr. Lc 9, 3) - e dalla fonte Q: «Non portate né borsa del denaro, né sacca da viaggio, né sandali, e non salutate nessuno per strada» [4]. All'epoca si andava solitamente a piedi nudi, ma l'idea del bastone e dei sandali sembra un richiamo sia ad una missione di lunghi percorsi, sia al rituale della Pasqua ebraica: «Con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano» (Es 12, 11). Ma al di là delle differenze tra i Vangeli, senza dubbio questa seconda precisazione evidenzia un atteggiamento di povertà simile alle missioni religiose degli esseni itineranti, che si consideravano in perenne pellegrinaggio fino al giorno del giudizio - «Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all'ira imminente? [...]. Già la scura è posta alla radice degli alberi» (Mt 1, 7.10) -, o alle missioni filosofiche del tempo [5].

Queste indicazioni sono certamente gesti simbolici per la missione in Galilea relative al tempo della vita terrena di Gesù e non un programma per l'evangelizzazione futura della Chiesa, come si evince già negli Atti degli Apostoli. Esse, infatti, dimostrano il senso di precarietà e di premura nella missione: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1, 15); azioni simboliche temporalmente limitate di Gesù e non provenienti dal tempo post-pasquale [6]. Pertanto, «le austere condizioni (senza cibo, denaro, bagaglio) dovevano chiarire che qualsiasi risultato non era conseguito con mezzi umani e, probabilmente, i cristiani di Marco si aspettavano tale austerità dei missionari» [7].

Una testimonianza, difatti, che riporta solo Marco, mentre negli altri Sinottici questi elenchi sono differenti, e assente sia in Giovanni - dove non si trova neppure il racconto sull'invio in missione degli apostoli - sia negli apocrifi neotestamentari e nei Padri apostolici, come anche nei testi gnostici e nei Padri della chiesa.

Gesù, poi, oltre ad affidare ai suoi discepoli la forza della parola della predicazione, li fortifica anche nel dono della signoria di Dio sulla terra: «Dava loro potere sugli spiriti imputi [...]. Ungevano con olio molti infermi e li guarivano» (Mc 6, 7.13); un «potere taumaturgico dunque, ma non per amore del miracolo stesso, bensì, come viene detto un'altra volta, perché i non ancora credenti hanno bisogno del segno» [8]. Quindi, non una necessità di «una prova dell'esistenza e dell'azione di Dio com'è per l'apologetica successiva, poiché egli non conosce assolutamente il dubbio circa Dio» [9], ma piuttosto una conferma della prossimità del Regno unita all'urgenza della conversione, «miracoli di fondazione per significare nel linguaggio dell'epoca l'esistenza di una realtà nuova secondo il disegno di Dio», e manifestazione di «quanto la salvezza di Dio passi nell'oggi e nel quotidiano della vita, sotto l'azione liberatrice di Gesù» [10].

Una missione che opera il bene anche fisico a chi crede, ma che si concentra prevalentemente contro il Male: «I messaggeri di Gesù mirano, al suo seguito, ad un'esorcizzazione del mondo, alla fondazione di una nuova forma di vita nello Spirito Santo, che liberi dall'ossessione diabolica» [11]. Paolo, infatti, in Ef 6, 10-12, evidenzia come la battaglia non è contro gli uomini, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro, in sintesi, gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Cosicché «i nemici non sono questo o quell'altro e nemmeno io stesso, non sono carne e sangue [...], il contrasto va più nel profondo. Si rivolge contro una quantità innumerevole di nemici che sono instancabilmente all'attacco, avversari non ben definibili che non hanno veri nomi, ma solo denominazioni collettive; sono anche a priori superiori all'uomo e questo per la loro posizione superiore, per la loro posizione "nei cieli" dell'esistenza, superiori anche per l'impenetrabilità e l'inattaccabilità della loro posizione. La loro posizione è, appunto, l' "atmosfera" dell'esistenza, un'atmosfera che essi stessi diffondono intorno a sé, essendo infine tutti ricolmi di una malvagità sostanziale e mortale» [12].

Fondamentale, infine, è il dato dell'accoglienza: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro» (Mc 6, 10-11). Infatti, proprio «a motivo di questi elenchi costoro sanno con che cosa hanno a che fare quando accolgono cristiani itineranti» [13]. Come c'è la responsabilità di recare il messaggio, che è un carisma riservato a pochi, c'è quella corrispondente di accoglierlo, che è dovere di ogni cristiano: «l'educatore preceda, fidando della sua chiamata a svelare e a testimoniare la verità, nella sua anima e nella sua preparazione; i discepoli reagiscano alle sue parole; lui è responsabile di sé, non direttamente e integralmente di loro: può disporre della propria libertà non della loro» [14].

Accogliere la Parola predicata è dare così la possibilità al Maestro interiore di donare la salvezza, non però «con argento e denaro, ma col prezioso sangue di Cristo, affinché [i riscattati] odano per mezzo degli apostoli: "Grazia e pace a voi" (Rm 1, 7). Infatti non per i meriti, ma per la grazia e la fede di Cristo siamo stati riconciliati con Dio» [15].

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[1] N. Casalini, Introduzione a Marco, Franciscan Printing Press, Jerusalem 2005, 64.

[2] F. Mosetto, «I discepoli di Gesù nel Vangelo di Marco», in M. Làconi e Coll. (a cura di), Vangeli sinottici e Atti degli Apostoli, Elledici, Torino 2002(2), 548.

[3] J. Hervieux, Vangelo di Marco, San Paolo, Cinisello Balsamo 2003(3), 144.

[4] Q 10, 4, in J. M. Robison, Gesù secondo il testimone più antico, Paideia, Bresca 2009, 244.

[5] Cfr. Musonio Rufo (30-130 d.C.), Il riparo, in Diatribe, frammenti e testimonianza, Bompiani, Milano 2001, 251s (Diatriba XIX): 1 H; 1 U - 0-U; 0-S; Giuseppe Flavio, Bell. II, 124-127 sugli esseni, in La guerra giudaica I, L. Valla (a cura di), Mondadori, Roma - Milano 1974, 307: 1 H; 1 U, 1 S - 0-G; Plutarco (45-125 d.C.), Vite parallele - Alessandro, Rizzoli, Milano 1987, 187s. (Sui gimnosofisti): 0-R; 0-B; 0-S.

[6] Di diverso parere è il biblista gesuita Edward J. Mally che afferma come Marco abbia adattato «le istruzioni di Gesù introducendo parecchie eccezioni che fanno pensare a uno stadio posteriore di attività missionaria: quello della Chiesa al di fuori della Palestina. Per lo stesso motivo Marco omette la proibizione di andare "fra i gentili e nelle città dei samaritani" (Mt 10, 5)»: in «Il Vangelo secondo Matteo», in Grande commentario biblico, Queriniana, Brescia 1973, 862.

[7] R. E. Brown, Introduzione al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 2001, 208.

[8] R. Guardini, Il Signore, Morcelliana, Brescia 2005, 97.

[9] R. Bultmann, Gesù, Queriniana, Brescia 2017(7), 147.

[10] C. Perrot, Gesù, Queriniana, Brescia 2004(2), 76.

[11] R. C. Pesch, Il Vangelo di Marco, I, Paideia, Brescia 1980, 205.

[12] H. Schlier, Lettera agli Efesini, I, Paideia, Brescia 1965, 291.

[13] K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento. I. Vangeli e Atti degli Apostoli, Queriniana, Brescia 2014, 201.

[14] F. Trisoglio, Il Vangelo di Marco alla luce dei Padri della Chiesa, Città Nuova, Roma 2006, 122.

[15] Girolamo, Trattato su Isaia, lib. 14: CCL 73, 576.

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