XIV Domenica del Tempo ordinario /B

04.07.2021

Ez 2, 2-5 Sal 122 2 Cor 12, 7-10 Mc 6, 1-6


La liturgia di questa domenica propone la riflessione del rifiuto d'Israele, o parte di esso, all'uomo di Dio. Pur essendo «una razza di ribelli» (Ez 2, 3), 'Ădhünāy non abbandona il suo popolo perché «figlio del Dio vivente» (Os 2, 1) e «sua parte di eredità» (Dt 32, 9), e invia «con assidua premura tutti i [suoi] servi, i profeti» (Ger 44, 4) che inducano a tornare al patto dell'alleanza. Ma quasi sempre la risposta è l'indifferenza o il rifiuto: «Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto, nessuno sa sollevare lo sguardo» (Os 11, 7).

L'evangelista Marco presenta la vita di Gesù su questo orizzonte profetico, per giungere all'affermazione della sua partecipazione divina da parte di uno straniero, un centurione romano: «Davvero quest'uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15, 39). E come profeta il Maestro se inizialmente incontra il favore e l'entusiasmo con la scelta dei discepoli (cfr. Mc 1, 16-20; 3, 13-19), la predicazione del mistero del Regno attraverso le parabole (cfr. Mc 4, 1-34) e le guarigioni, segue l'ostilità e il rifiuto prima da parte dei capi del popolo - «I farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire» (Mc 3, 6) -, seguito da quello dei suoi parenti: «Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: "E' fuori di sé"» (Mc 3, 21).

Gesù, pertanto, dopo una prima parte di missione in Galilea, ritorna nel «suo luogo nativo, e questo costituisce un'inclusione con l'incontro con i "suoi" che venivano da Nazaret all'inizio della scena (3, 21.31-35). Il suo insegnamento nella sinagoga produce scetticismo. La gente del posto lo ricorda come carpentiere e conosce la famiglia, così che sia la sua sapienza religiosa, sia i suoi prodigi non hanno un'origine plausibile» [1]. Un rifiuto che desta nel Maestro meraviglia, e la conoscenza della sua parentela da parte dei suoi concittadini un motivo di scandalo: «Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?» (Mc 3, 3-4) [2].

Nel linguaggio semitico, fratelli e sorelle indicano la parentela più stretta, come zii, cugini o cognati, come è evidente tra Abramo e Lot, rispettivamente zio e nipote: «Terach generò Abram, Nacor e Aran; Aran generò Lot» (Gen 11, 27); essi, infatti, vengono chiamati rispettivamente fratelli: «Non vi sia discordia tra me e te, tra i miei mandriani e i tuoi, perché siamo fratelli» (Gen 13, 8).

Sul rapporto di parentela di Gesù, Eusebio di Cesarea riporta l'indicazione dello scrittore greco cristiano del II sec., Egesippo, forse un giudeo convertito, che presenta Cleofa (Alfeo) come fratello di Giuseppe, e i suoi figli, Giacomo, Ioses, Giuda e Simone come cugini di Gesù: «Dopo che Giacomo il "Giusto" fu martirizzato per aver commesso lo stesso reato del Signore, fu designato vescovo per unanime consenso il figlio di suo zio, Simeone, figlio di Cleopa, che era un secondo cugino del Signore» [3]. Così anche la moglie di Cleofa, «Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses» (Mc 15, 40), che è presente sotto la croce insieme a Maria, madre di Gesù, viene descritta come «la sorella di sua madre» (Gv 19, 25) pur essendo la cognata. Tesi questa, invece, non condivisa da Girolamo: «Giacomo, detto "fratello del Signore", soprannominato il Giusto, secondo alcuni era figlio di Giuseppe, da parte di un'altra donna; secondo il mio parere, invece, era figlio della sorella di Maria, la madre del Signore; ne fa menzione Giovanni nel suo Vangelo» [4].

Nella sua vita e nel suo messaggio evangelico, Gesù si distacca radicalmente dalla concezione patriarcale di famiglia, proponendo una parentela spirituale: «Chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre» (Mc 3, 35). Un rapporto nuovo che non viene compreso divenendo nella sua sinagoga causa di scandalo; infatti «il motivo trainante, che fa vacillare la situazione, è l'allusione al fatto che si conoscono i familiari di Gesù. La qualità della sua parentela (la sua scandalosa normalità) induce gli scettici a concludere che neppure la sua grandezza è tanto grande come appare» [5].

Lo stupore iniziale dei suoi concittadini, seguito dallo scettiscismo costituisce per l'evangelista un fatto nuovo, carico di conseguenze per il seguito del racconto evangelico. «La mancanza di fede con cui è stato accolto a Nazareth è elevata dall'autore a valore simbolico del rifiuto d'Israele in generale per mezzo della frase che fa pronunciare a Gesù in Mc 6, 4: "Un profeta non riceve disonore se non nella sua patria e tra i suoi consanguinei e nella sua famiglia» [6]. Così l'invio dei Dodici in missione (cfr. Mc 6, 7-13) diventa la conseguenza del rifiuto in patria; il Maestro respinto dai suoi, invia altrove i suoi discepoli per annunciare il regno di Dio e costituire un nuovo popolo formato da fratelli e sorelle, di cui egli stesso si prende cura - «Vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore» (Mc 6, 34) -, nutrendolo (il segno della moltiplicazione dei pani e dei pesci di Mc 6, 35-44) e sottraendolo alla guida dei farisei che «trascurando il comandamento di Dio, [osservano] la tradizione degli uomini» (Mc 7, 8).

Per Marco questo strappo della parentela del Signore e la conseguente costituzione di una nuova famiglia è immagine della Chiesa del suo tempo. La persecuzione da parte dei romani, infatti, «ha costretto le famiglie a separazioni dolorose; i membri che si convertono sono spesso costretti a compiere scelte fra i legami familiari e l'appartenenza alla comunità cristiana. L'evangelista dimostra loro che Gesù stesso è stato costretto a effettuare una rottura totale nei confronti dei suoi parenti, ed essi non potevano più invocare diritti nei suoi confronti» [7].

Diversi decenni dopo la formulazione del testo marciano, «questi stessi temi serviranno a introdurre il maestoso prologo al vangelo di Giovanni, dove si dice semplicemente che in Gesù "era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta (Gv 1, 4-5)» [8].

«Perché un profeta non è onorato nella sua patria. Ma siccome questo profeta presso gli stranieri viene onorato, ecco la dichiarazione: Beati quelli che credono senza aver veduto (Gv 20, 29). Questa beatitudine è per noi; è in noi che il Signore si è degnato realizzare ciò che allora esaltò. Quelli che lo crocifissero lo videro e lo palparono, e così pochi credettero; noi non abbiamo visto e non abbiamo toccato con mano: abbiamo udito e abbiamo creduto. Possa realizzarsi in noi fino alla perfezione la beatitudine che egli ha promesso qui, ora, perché siamo stati preferiti alla sua patria; nel secolo futuro, poiché siamo stati innestati al posto dei rami stroncati» [9].

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[1] R.E. Brown, Introduzione al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 2001, 207-208.

[2] «Mc 6, 3 è l'unico testo del NT che chiami Gesù "il figlio di Maria". Era un'usanza giudaica far riferimento a un uomo come al figlio di suo padre (cfr. Lc 3, 23; 4, 22; Gv 1, 45; 6, 42). Così "figlio di Maria" può essere interpretato come un insulto (R. H. Lightfoot, History and Interpretation in the Gospels, New York 1934, 187-188). Considerando l'affermazione di Origene (Contra Celsum, 6, 36) secondo cui in nessuna parte del vangelo si parla di Gesù come di un falegname, e considerando il fatto che il papiro di Chester Beatty (P45) e i mss. minuscoli della famiglia 13 contengono "il figlio del falegname", come si riscontra in Mt 13, 55, è anche possibile che "figlio di Maria" sia una lettura errata»: J.L. MacKenzie, «Il Vangelo secondo Matteo», in Grande commentario biblico, Queriniana, Brescia 1973, 861.

[3] Eusebio di Cesarea, Hist. Eccl. IV, 22, 3, in S. Borzì, Storia ecclesiastica, vol. I, Città Nuova, Roma 2001, 231. Cfr. C. Antonelli, I frammenti degli Hypomnemata di Egesippo: edizione del testo, traduzione, studio critico, Università degli studi Roma Tre, Tesi di Dottorato, Roma 2011, 60-69.

[4] Girolamo, De vir. illustr., 2, 1, in E. Camisani (a cura di), Gli uomini illustri, UTET, Torino 1999.

[5] K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento. I. Vangeli e Atti degli Apostoli,Queriniana, Brescia 2014, 200.

[6] N. Casalini, Introduzione a Marco, Franciscan Printing Press, Jerusalema 2005, 64.

[7] J. Hervieux, Vangelo di Marco,San Paolo, Cinisello Balsamo 2003(3), 83.

[8] T. Verdon, La bellezza nella Parola. L'arte a commento delle lettere festive. Anno B,San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2008, 234.

[9] Agostino, Serm. 16, 7, in «Opera omnia di sant'Agostino», vol. XXIX («Discorsi [1-50]: sul V. Testamento», tr. it. di P. Bellini - F. Cruciani - V. Tarulli), NBA - Città Nuova, Roma 1979.

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