
III Domenica del Tempo di Pasqua /B
At 3, 13-15.17-19 ⌘ Sal 4 ⌘ 1 Gv 2, 1-5 ⌘ Lc 24, 35-48
La III domenica del tempo di Pasqua, dopo le apparizioni del Risorto a Maria Maddalena (cfr. Gv 20, 11-18), agli apostoli (cfr. Gv 20, 19-22), e otto giorni dopo a Tommaso detto Δίδυμος (cfr. Gv 20, 26-29) - ovvero la personificazione dello stesso Vangelo di Giovanni che serve da testimonianza per garantire la verità degli eventi (mediazione apostolica) -, propone il racconto dei due discepoli in cammino sulla strada verso Emmaus [1], accennato nell'appendice dal primo Vangelo (cfr. Mc 16, 12-13) ma sviluppato teologicamente da Luca.
Prima di proseguire, comunque, è opportuno chiarire come questi racconti pasquali non devono essere compresi nella qualità di affermazioni paradossali contro la realtà o, come afferma il teologo evangelista tedesco Rudolf Bultmann (1884-1976), narrazioni che esprimono in forma "mitica" la fede degli apostoli [2], bensì esperienze del Dio vivente e vittorioso in Gesù di Nazaret. Un reale evento storico come lo definisce il teologo ebreo e storico israeliano Pinchas Lapide (1922-1997): «Sono assolutamente convinto che i dodici galilei (contadini, pastori e pescatori, ma neanche un professore di teologia) non sarebbero rimasti assolutamente impressionati dai theologùmeni scientifici che troviamo in K. Rahner o in R. Bultmann. E se un evento storico-concreto come quello della crocifissione li gettò nell'angoscia e prostrazione più totali, come narrano tutti e quattro i vangeli, era necessario un altro evento non meno storico e concreto per strapparli da questa valle di disperazione e in breve tempo trasformarli in una comunità di salvezza ricolma di gioia e di esultanza» [3].
Le apparizioni del Risorto sono pertanto delle esperienze reali e contagiose di Colui che è «il Primo e l'Ultimo, e il Vivente» (Ap 1, 17-18), che nel silenzio di 'Ădhünāy si è assoggettato realmente al dominio della morte, e da esso poté destarsi e disfarlo dall'interno, sconfiggendo il diavolo: «Al principe di questo mondo rimase nascosta la verginità di Maria e il suo parto, similmente la morte del Signore, i tre misteri clamorosi che furono compiuti nel silenzio di Dio» [4]. In questo senso il Cristo è stato anche l'ultimo che poté levare il lamento del giusto perseguitato del Salmo 22: «Elì, Elì, lemà sabactàni?» (Mt 27, 46); mentre ora per i suoi discepoli la morte non è più abbandono di Dio, ma la porta che si apre sulla piena comunione con il nuovo Adamo: «Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita» (1 Cor 15, 22).
Il racconto dei discepoli di Emmaus - primo insegnamento di Gesù dopo la resurrezione sul suo ruolo per Israele (cfr. Lc 24, 21-27) - è inserito, pertanto, in questa cornice interpretativa; «Gesù dà un'importante rivelazione ai discepoli: fa appello a tutta la Scrittura, per spiegare ciò che ha fatto come Messia. Nel libro degli Atti i predicatori apostolici faranno questo e Luca vuole radicare il loro uso della Scrittura nella rivelazione data a Gesù» [5]. Molti esegeti, infatti, «riconoscono la sequenza del racconto di Luca uno degli insegnamenti più grandi del vangelo. Fondamentalmente, la risposta di Gesù ai dubbi dei discepoli è rappresentata dall'interpretazione della parola di Dio e dalla frazione del pane. L'insegnamento è che, se si vuole capire Gesù e incontrarlo, il cristiano deve farlo nell'Eucaristia, dove la parola di Dio è ascoltata e spiegata e dove la frazione del pane reca con sé tutto il senso dell'ultima cena, e la comunione con Gesù» [6]. Particolarmente, lo scopo di Luca è mostrare ai suoi lettori, a cinquant'anni dall'ascensione del Signore, come essi possano ancora alimentare la loro fede, comprenderla e incontrare il Risorto.
L'evangelista, inoltre, intende presentare il senso profondo della celebrazione del pane della comunità cristiana, descritta in At 2, 42-47e richiamata dal testo più antico di Paolo in 1 Cor 11, 23-26, come radice della fede cristiana nella presenza del Signore al banchetto eucaristico che ogni domenica raccoglie i cristiani, realizzando così l'incontro con il Risorto: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto» (Gv 20, 29). La presenza di Gesù risorto trova, infatti, un legame particolare al convito, come nell'apparizione agli Undici (cfr. Lc 24, 42-43), nella pesca miracolosa (cfr. Gv 21, 1-14) o prima della sua ascensione (cfr. At 1, 4); «Il Signore sta a tavola con i suoi come prima, con la preghiera di benedizione e lo spezzare il pane. Poi sparisce davanti alla loro vista esterna, e proprio in questo scomparire si apre la vista interiore: lo riconoscono. È un vero incontro conviviale e tuttavia è nuovo. Nello spezzare il pane Egli si manifesta, ma solo nello sparire diventa veramente riconoscibile» [7].
I due discepoli, al sentire «l'insegnamento del senso più profondo, nascosto della Scrittura impartito da una persona che viene essa stessa dalla realtà nascosta, invisibile» [8], sentono ardere i loro cuori, specialmente quando egli mostra loro come bisognava che «il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria» (Lc 24, 26). È un cuore indignato che si lamenta dell'ingiustizia recata ad un giusto innocente e che arde dal desiderio di giustizia, come ricordano le antiche midrāshim: «Io ardevo nelle mie viscere [dal desiderio] di svelargli che Giuseppe che era stato venduto. Ma avevo paura dei miei fratelli» [9].
Le parole della Scrittura e la frazione del pane portano i discepoli a riconoscerlo come il Messia. Infatti, «come vennero aperti gli occhi ai discepoli di Emmaus quando il misterioso compagno "a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede a loro" (Lc 24, 30), così ai fedeli di ogni epoca viene offerta la visione del Signore risorto "nello spezzare il pane" - cioè nella liturgia eucaristica» [10]. È, quindi, l'eucaristia l'atto dello svelamento del Cristo risorto agli occhi del credente; «Non basta, per poterlo riconoscere nella sua realtà più intima, l'esperienza fisica dell'ascolto. Quest'ultima è importante perché - come i due discepoli confesseranno - fa "ardere il cuore nel petto"; ma è necessaria una via superiore di conoscenza, quella della fede, che permette l'incontro pieno sotto il segno del pane spezzato» [11].
Questo semplice racconto, infine, trova il suo parallelo, sempre nel contesto lucano, dall'incontro del diacono Filippo con l'eunuco sulla strada di Gaza (cfr. At 8, 26-40). Si troviamo, infatti: 1. l'ignoranza delle Scritture; 2. la spiegazione che Gesù deve soffrire, in base alla Scrittura; 3. un'insistenza a fermarsi più a lungo; 4. improvvisa scomparsa. Esso, quindi, «si inserisce in una serie di narrazioni nelle quali Cristo si manifesta nella persona di predicatori peregrinanti: i 72 discepoli missionari (Lc 10, 8.16); Paolo (Gal 4, 13; 2 Cor 5, 20); tutti i bisognosi (Mt 25, 31-46)» [12]. Tradizione successivamente modificata prima che raggiungesse Luca, sotto l'influsso della liturgia eucaristica, mantenendo l'identica sequenza: una lettura e una spiegazione della Scrittura (cfr. Lc 24, 25-27) e lo spezzare del pane (cfr. Lc 24, 30).
Con i discepoli di Emmaus la comunità cristiana si pone in ascolto del Signore risorto, presente nella Scrittura che cammina come pellegrino insieme ad essa, giungendo a mangiare il suo corpo e bere il suo sangue offerti per la salvezza.
«Quando dunque un cristiano accoglie un altro cristiano, è un membro che si pone al servizio di un altro membro, e con questo reca gioia al capo, che ritiene dato a sé ciò che si elargisce a un suo membro. Ebbene, finché siamo quaggiù, si dia il cibo a Cristo che ha fame, si dia da bere a lui assetato, lo si vesta quando è nudo, lo si ospiti quand'è pellegrino, lo si visiti quando è malato. Queste cose comporta l'austerità del cammino. Così dobbiamo vivere nel presente pellegrinaggio durante il quale Cristo è nel bisogno: ha bisogno nei suoi, pur essendo pieno di tutto in sé. Ma colui che nei suoi è bisognoso, mentre in sé abbonda in tutto, convocherà attorno a sé tutti i bisognosi. E vicino a lui non ci sarà più né fame, né sete, né nudità né malattia, né migrazioni né stenti né dolore» [13].
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[1] Il luogo di Emmaus, identificato con il villaggio di al-Qubeibe, oggi quasi interamente musulmano di 3.500 persone, trova confermata dal diario di un anonimo pellegrino successivo al 1280, secondo cui l'incontro di Cristo risorto con Cleopa (Lc 24, 18) sarebbe avvenuto «quattro miglia da Monte Gioia, dove è sepolto il profeta Samuele». Quattro miglia equivalgono a 7 km, mentre el-Qubeibe si trova a 5 km dalla presunta tomba di Samuele. A el-Qubeibe, comunque, sorta lungo una strada romana, dal 1150 esisteva una chiesa appartenente ai canonici del Santo Sepolcro, «come hanno dimostrato gli scavi diretti dei francescani italiani che erano stati internati proprio qui durante la Seconda guerra mondiale»: H. Fürst - G. Geiger, Terra Santa, D. Rivarossa (tr. it. dal ted.), Edizione Terra Santa, Milano 2017, 209.
[2] «Il vero contenuto del messaggio pasquale del NT non è perciò la comunicazione di un evento storicamente afferrabile e dimostrabile, verificato si a Gerusalemme il mattino di Pasqua, cioè di un incredibile ritorno di un morto nella vita di questo mondo, ma la fede dei discepoli, frutto di un'azione di Dio, i quali predicano di Gesù Crocifisso: egli è risorto. La fede nella risurrezione è niente altro che la fede nella Croce come evento di salvezza, nella Croce come Croce di Cristo»: R. Bultmann, Nuovo Testamento e mitologia. Il problema della demitizzazione del messaggio neotestamentario, in R. Bultmann, Nuovo Testamento e mitologia, Queriniana, Brescia 1973, 176.
[3] P. Lapide, Monoteismo ebraico, in P. Lapide - J. Moltmann, Dottrina trinitaria cristiana, Queriniana, Brescia, 1980, 47-48.
[4] Ignazio di Antiochia, Lettera agli Efesini,XIX, 1, in I Padri apostolici,A. Quacquarelli (a cura di), Città Nuova, Roma 19917, 106.
[5] R. E. Brown, Introduzione al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia, 2001, 366.
[6] J. J. Kilgallen, Guida alla Terra Santa seguendo il nuovo testamento, Editrice Pontificio Istituto Biblico, Roma 2000, 241.
[7] Benedetto XVI, Gesù di Nazaret. Dall'ingresso in Gerusalemme fino alla resurrezione, LEV, Città del Vaticano, 2011, 299.
[8] K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia, 2014, 408.
[9] TestXII-Naft 7, 4, tr. it., Testamento di Neftali,in Apocrifi dell'Antico Testamento,vol. I,P. Sacchi (a cura di), UTET, Torino 1981, 865.
[10] T. Verdon, La bellezza nella parola. L'arte a commento delle letture festive. Anno C, San Paolo, Torino 2009, 133.
[11] G. Ravasi, Le pietre di inciampo del Vangelo. Le parole scandalose di Gesù, Mondadori, Milano 2015, 191.
[12] C. Stuhlmueller, «Il vangelo secondo Luca», in Grande Commentario Biblico, A. Bonora - R. Cavedo - F. Maistrello (ed. it. a cura di), Queriniana, Brescia 1973, 1034.
[13] Agostino, Serm., 236, 2-3, in «Opera omnia di sant'Agostino», vol. XXXII/2 («Discorsi [230-272/B]: su i Tempi liturgici», tr. it. P. Bellini - F. Cruciani - V. Tarulli), NBA - Città Nuova, Roma 1984, 755.