
II Domenica del Tempo di Quaresima /B
Gen 22, 1-2.9a.10-13.15-18 ⌘ Sal 115 ⌘ Rm 8, 31-34 ⌘ Mc 9, 2-10
La seconda domenica del tempo di Quaresima presenta, parallelamente a tutti e tre i cicli liturgici (cfr. Mt 17, 1-9; Lc 9, 28-36), il brano della trasfigurazione del Signore Gesù «su un alto monte» (Mc 9, 2) [1] in compagnia di Pietro, Giacomo e Giovanni. E «se la liturgia della prima del tempo preparatorio alla Pasqua narrava della tentazione di Cristo - della sua umana fragilità -, oggi [...] la Chiesa invita a contemplare la sua gloria divina» [2]. Un racconto storico e allo stesso tempo simbolico che Marco inserisce nella seconda parte del suo Vangelo dedicato alla predizione della sofferenza, alla morte in Gerusalemme e, infine, alla resurrezione (Mc 8, 27 - 16, 8 + 16, 9 - 20).
Dopo il ministero di guarigione inserito nella predicazione in Galilea, e la seconda moltiplicazione dei pani e dei pesci (cfr. Mc 8, 1-8), iniziando il suo cammino verso Sion, il Maestro incomincia a «insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere» (Mc 8, 31). È il rovesciamento della concezione giudaica di "messia" che hanno i suoi discepoli e che avvolte manifestano apertamente: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra» (Mc 11, 36). Un "messia" che, all'opposto, «non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 11, 45).
Una seconda sezione del Vangelo, quindi, che segna un cambio di tono in cui il Signore predice chiaramente e per tre volte il suo destino (cfr. Mc 8, 31; 10, 31; 10, 33-34). Infatti, lungo il cammino verso Gerusalemme, «si verificano relativamente poche azioni di potenza (miracoli), quasi come se Gesù riconoscesse che i miracoli non porteranno i suoi discepoli a comprendere» [3].
Per Marco fondamentale è l'affermazione sull'identità di Gesù che dà il titolo al suo scritto: «Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio» (Mc 1, 1). All'inizio della prima parte, l'identità di Gesù come Figlio di Dio era stata proclamata da «una voce dal cielo» (Mc 1, 11) durante il battesimo nel Giordano; ma i discepoli non erano presenti e nessuno di loro ha fatto una confessione di fede sulla base di questa identità. Ora, all'inizio di questa seconda parte, quando nella trasfigurazione la "kabōd" [4], finora celata dal Maestro, si rende visibile ai tre sui discepoli attraverso ancora una voce dal cielo: «Questi è il Figlio mio, l'amato» (Mc 9, 7). Una rivelazione che proviene dal Padre il quale trasfigura il Figlio. Nel testo greco, infatti, «reca il passivo (fu trasfigurato) invece del riflessivo (si trasfigurò). Il passivo pone in risalto l'intervento diretto del Padre, che proclamò Gesù suo Figlio prediletto. Lungo tutto il Vangelo abbiamo visto Gesù agire, qui è Dio, nella sua pienezza, che agisce in lui» [5].
Sul monte, pertanto Gesù non si rivela come una gloria del puro spirito, ma dello spirito attraverso e nel corpo stesso del Messia in quanto uomo intero. Così «non una gloria del solo Dio, ma meramente l'aprirsi del cielo, non puramente lo splendore del Signore, quale posava sull'Arca dell'alleanza, ma la gloria del Logos di Dio nel Figlio dell'uomo. È l'arco voltaico. L'inesprimibilmente Uno. La vita al di sopra della vita e della morte: vita del corpo, ma che deriva dallo spirito; vita dello spirito, ma che viene dal Logos; vita dell'uomo Gesù, ma che procede dal Figlio di Dio» [6].
In tutto questo è evidente una logica narrativa che parte «dall'incomprensione di Pietro (Mc 8, 32b-33), l'invito alla sequela portando la propria croce e alla fedeltà alla sua parola (Mc 8, 34 - 9, 1), la rivelazione della sua gloria nascosta e la parola di Dio che conferma e invita all'ascolto della sua (Mc 9, 2-13), la debolezza della fede dei discepoli, resa evidente dalla loro impotenza a guarire il ragazzo epilettico, posseduto da uno spirito immondo (Mc 9, 14-29)» [7].
La voce del cielo che richiama alla rivelazione propria del Maestro, conseguentemente impegna i discepoli «a proseguire sul loro cammino, nella fede, fino alla scoperta della totale identità di Gesù: questo è il profondo significato dell'avvenimento che essi hanno vissuto» [8]. Ma occorre aggiungere che il culmine di tutto il racconto risiede nelle parole: «Ascoltatelo» (Mc 9, 7), inteso come comprensione dell'annuncio delle sue sofferenze e della sua morte. Infatti, «questa trasfigurazione, senza dubbio, mirava soprattutto a rimuovere dall'animo dei discepoli lo scandalo della croce, perché l'umiliazione della passione, volontariamente accettata, non scuotesse la loro fede, dal momento che era stata rivelata loro la grandezza sublime della dignità nascosta del Cristo» [9].
La scena della trasfigurazione, come manifestazione dell'identità di Gesù ai suoi discepoli, richiama alle due grandi teofanie veterotestamentaria del monte Sinai (Oreb) di Mosè (cfr. Es 19-20) e di Elia (cfr. 1 Re 19, 1-13), è più esplicitamente al profeta Geremia, come descrive l'anonimo apocrifo copto «Abimelec vide il profeta Geremia [...] brillare come il sole» [10]. Ma certamente nella trasfigurazione «la compenetrazione reciproca di "santità", "nome" e "gloria" durerà nel Nuovo Patto, in cui il compito di vita di Gesù viene riassunto nella glorificazione del nome del Padre» [11]. Così che Gesù si identifichi come «l'essere umano eletto da Dio è perciò esteticamente distinto e rimanda di conseguenza al Dio del cielo» [12].
Tuttavia, il raffronto maggiore veterotestamentario alla trasfigurazione di Gesù si ha nella figura di Mosè, indicato da 'Ădhünāy come il profeta da ascoltare: «Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto» (Dt 18, 15); in parallelo all'indicazione di Dio sull'alto monte: «Ascoltatelo» (Mc 9, 7). Accostamento delle tre tende alla tenda della rivelazione di Es 26; 33; 39, ma soprattutto nella conclusione dell'alleanza che Marco inserisce nell'ultima Pasqua di Gesù a Gerusalemme: «Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti» (Mc 14, 24); riferimento alla Tōrāh in Es 24, 8: «Ecco il sangue dell'alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole».
La trasfigurazione, nell'opera marciana, è, pertanto, «una delle pericopi messianiche centrali e ha delle somiglianze con il battesimo di Gesù (la voce del cielo), e con il racconto dei Getsemani (i tre discepoli, la montagna, il grido "Abba, Padre", che corrisponde alla voce del cielo, "Questi è il mio Figlio diletto", la preminenza di Pietro, l'incomprensione dei discepoli» [13]. Ma allo stesso tempo «è un avvenimento di preghiera; diventa visibile ciò che accade nel dialogo di Gesù con il Padre: l'intima compenetrazione del suo essere con Dio, che diventa pura luce» [14].
Fondamentalmente per l'evangelista, inserito nel suo contesto storico, il racconto della trasfigurazione congiunto al richiamo alla passione e morte di Cristo, resta un forte richiamo «a sostenere la speranza dei cristiani di Roma alle prese con le sofferenze e la morte a causa della persecuzione» [15], ed invito alla Chiesa a non fermarsi nell'annuncio vittorioso del Vangelo:
«Scendi, Pietro; desideravi riposare sul monte: scendi; predica la parola di Dio, insisti in ogni occasione opportuna e inopportuna, rimprovera, esorta, incoraggia usando tutta la tua pazienza e la tua capacità d'insegnare. Lavora, affaticati molto, accetta anche sofferenze e supplizi affinché, mediante il candore e la bellezza delle buone opere, tu possegga nella carità ciò ch'è simboleggiato nel candore delle vesti del Signore» [16].
_______
[1] «In 3, 13 il monte è il luogo dove Gesù si rivela fondatore e capo della comunità scegliendo singolarmente alcuni discepoli, "facendone" Dodici e dando loro il potere escatologico di annunciare il vangelo e di cacciare i demoni. In 6, 46 il monte è il luogo dove Gesù, dopo aver moltiplicato i pani e prima di camminare sulle acque, si reca a pregare; due avvenimenti di rivelazione davanti ai discepoli. In 13, 3 il monte è il luogo dove Gesù, appartato con quattro discepoli, rivela i segni della venuta escatologica del Figlio dell'uomo. Il monte della trasfigurazione appare, dunque, un elemento che accentua l'aspetto della rivelazione messianica in riferimento alla comunità di cui i tre devono essere rappresentanti»: G.C. Bottini, «La trasfigurazione sul monte (Mc 9, 2-10)», in Il Vangelo di Marco, R. Pellegrini (a cura di), Messaggero di Sant'Antonio - Editrice, Padova 2008, 144. La tradizione ha sempre indicato il Tabor (Gebel at-Tur, in arabo), dosso isolato della Galilea che si eleva (m. 602) nella pianura di Esdrelon. Fin dal III sec. la tradizione vi localizzò la Trasfigurazione e nel V sec. vi sorse una basilica bizantina dedicata al Salvatore. Per la storia del luogo cfr. M.T. Petrozzi, Il Monte Tabor e dintorni, Francescan Printing Press, Jerusalem 1975. Oggi, comunque, gli studiosi sono più propensi nell'identificare il luogo della trasfigurazione all'Hermon, l'elevato massiccio innevato alto 2760 metri, molto più vicino a Cesarea di Filippo, luogo dove Gesù probabilmente si trovava prima della trasfigurazione (cfr. Mc 8, 27 - 9, 1).
[2] T. Verdon, La bellezza nella Parola. L'arte a commento delle letture festive. Anno B, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2008, 89.
[3] R.E. Brown, Introduzione al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 2001, 212.
[4] «L'ebraico kabōd viene tradotto dai LXX con doxa con cui nel mondo pagano greco si indicava l'opinione (soggettiva) di una persona e dominante nella sua autocoscienza. Nei LXX, e di conseguenza nel Nuovo Testamento la parola doxa viene dotata di un significato del tutto nuovo: viene meno l'aspetto soggettivo a favore dell'espressione di una qualità innata nell'uomo o eternamente presente in Dio. La gloria di Dio nei LXX è la manifestazione, lo splendore dell'esistenza divina. È ora comprensibile perché, quando definisce Cristo come la piena rivelazione di Dio, il Nuovo Testamento usa a proposito del Figlio l'espressione "doxa del Padre"»: F. Courth, Il mistero del Dio Trinità, Jaca Book, Milano 1993, 108.
[5] F. Trisoglio, Il Vangelo di Marco alla luce dei Padri della Chiesa, Città Nuova, Roma 2006, 169.
[6] R. Guardini, Il Signore. Riflessioni sulla persona e sulla vita di Gesù Cristo, Morcelliana, Brescia 2005, 314.
[7] N. Casalini, Introduzione a Marco, Franciscan Printing Press, Jerusalem 2005, 72-73.
[8] J. Hervieux, Vangelo di Marco,San Paolo, Cinisello Balsamo 20033, 158.
[9] Leone Magno, Discorso 51, 3-4; PL 54, 310-311.
[10] Storia della cattività babilonese, in Apocrifi dell'Antico Testamento, vol. III, P. Sacchi (a cura di), Paideia, Brescia 1999, 378.
[11] H.U. von Balthasar, Antico Patto, in vol. VI di Gloria. Una estetica teologica, Jaca Book, Milano19912, 60.
[12] K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento. I. Vangeli e Atti degli Apostoli,Queriniana, Brescia 2014, 216.
[13] J.L. MacKenzie, «Il Vangelo secondo Matteo», in Grande commentario biblico, Queriniana, Brescia 1973, 873.
[14] J. Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, 357.
[15] J. Hervieux, Vangelo di Marco,San Paolo, Cinisello Balsamo 20033, 159.
[16] Agostino, Serm., 78, 6, in «Opera omnia di sant'Agostino», vol. XXX/1 («Discorsi [51-85]: sul N. Testamento», tr. it. di L. Carrozzi), NBA - Città Nuova, Roma 1982, 78.